Presentato il volume di Stefania Ciaccio 'Il mio meraviglioso nonno Nicasio Ciaccio'

 L’1 giugno scorso, presso il Centro Polifunzionale “Giovanni Paolo II” in Montemaggiore Belsito, è stato presentato il volume di Stefania Ciaccio (nella foto sotto) “Il mio meraviglioso nonno Nicasio Ciaccio”. Solitamente è nel nostro costume di critica letteraria dare rilievo anche alla copertina: in essa, nella specie, in un quadro di Giovanna Ciaccio, dove predomina l’azzurro, sinonimo di serenità, è dipinta una casa immersa nella campagna che non solo rappresenta l’immagine di solidità e stabilità ma anche di aggregazione familiare viste le grandi tovaglie stese nel cortile ad asciugare testimonianti la presenza femminile di una numerosa famiglia. E’ così che comincia il suo racconto Stefania Ciaccio.

Noi non dubitiamo della volontà dell’Autrice a voler chiedere alla memoria la stratificazione della vita di un tempo, prendendo a capostipite della famiglia il nonno. Ma ci è più congeniale, a parte il vissuto dei suoi componenti dove il corredo pregevole delle foto assicura al lettore una esaustiva “visione”, soffermarci sulla “Premessa”.

A volte l’anteporre una premessa alla dispiegazione del contenuto di un volume, non costituisce necessariamente un “mettere le mani avanti” per chiarire “in primis” la conduzione e lo svolgimento delle tematiche esposte. Quella di Stefania (che chiamo così per affetto parentale) esula da questo compito. In essa la scrittrice ci rivela il motivo che l’ha indotta alla stesura di questo testo, dato alle stampe senza la tutela di una Casa editrice, e come questo si è originato. Abbiamo adoperato il termine di scrittrice poiché all’inizio della Premessa è di già evidente la “verve” di chi non si limita a testimoniare soltanto una cronaca di vita, ma assurge a compiti di ben altro spessore: “Era una sera d’estate, un tramonto aranciato e il profumo dei campi accarezzavano i miei ricordi più intimi…”. Con queste parole Stefania va ben oltre la semplice narrazione poiché chi si nutre di poesia, sa che perché uno scritto assurga alla dignità di “metro” poetico, occorre che nel suo substrato alberghi il sentimento e quella di Stefania è prosa poetica con malcelate venature di romanticismo. Personalmente non ci siamo mai sacrificati sull’altare della poesia ermetica o simbolica, anzi le riteniamo una falsa esercitazione dottrinale e accademica riservata ad un pubblico salottiero ed esclusivo. Ma quelli dell’Ermetismo o del Simbolismo appartengono ad una specifica epoca  da cui comunque, si sono distaccati poeti del calibro di  Mario Luzi, di Giuseppe Ungaretti o Eugenio Montale. Comunicavano certo un disagio, ma oltre allo sgomento quale sentimento trasmettevano in quelle loro prime fasi?

Stefania nella Premessa e Giovanna Ciaccio nei quadri (il secondo in quarta di copertina) usano il metodo più confacente alla comunicazione, cioè la chiarezza, il veicolo più consono perché a chi legge e a chi vede, giunga chiaro il messaggio. Ma Stefania non si limita alla chiarezza nel fornire un quadro agiografico di quel mondo, ma ne prende lo spunto per fare un’analisi psicologica della società del tempo con particolare riguardo a quella agricola ( sintomatica la foto della festa per l’arrivo delle mucche toscane), insieme ad una personale analisi introspettiva alla ricerca di quella identità che la scrittrice immagina ricevuta per eredità genetica, meglio se pervenuta dal suo meraviglioso nonno Nicasio.

Ed è questa esigenza intima che la spinge a fare ricerche basandosi su memorie di familiari e su documenti anagrafici e fotografici.

E sebbene questi ultimi soffrano di inevitabile staticità, pur tuttavia vi si può leggere un microcosmo fatto di sguardi e della varietà del vestiario esibito sia da lavoratori sia da cerimonia o semplicemente per pose destinate ai ricordi. E’ un percorso pregevole quello affrontato dalla romantica Stefania Ciaccio, dove i valori della centralità della famiglia e del lavoro richiamano, specie oggi nel pieno della crisi tanto evidenziata dai sociologi, quelle radici insostituibili per il buon vivere quale sintesi della semplice sopravvivenza della società stessa. “Il mio meraviglioso nonno Nicasio Ciaccio” secondo il nostro avviso, pur nelle affettuose intenzioni della nipote Stefania di commemorarne la figura, si presta involontariamente, ma non tanto, a costituire una testimonianza a futura memoria di un mondo che non c’è più. Un messaggio quindi di buona volontà per arginare quella “desertificazione” di cui parla Matteo Collura nel suo Sicilia. La fabbrica del mito, nella speranza che quel “buon tempo andato” non diventi tale da non poter essere recuperato nei suoi fondamentali principi etici e in fondo per quella che è la nostra storia.

                                                                  

        Giuseppe Bagnasco

 

Giuseppe Bagnasco nasce a Santo Stefano di Camastra (ME); è analista e critico storico, operatore culturale, poeta e critico letterario; tra i numerosi riconoscimenti, nel 2007 ha ricevuto la Benemerenza Civica dalla Provincia Regionale di Palermo per la promozione culturale e la poesia e nel 2010 il Premio internazionale di Atene Michele Ghitakos.