Why don’t we do it in the road?
- Castelbuono,
- Cultura,
- Massimiliano Città

In ogni sguardo cerco i tuoi occhi. Con queste parole iniziava l’ultimo lavoro di Giacomo Speriti. In quella giornata di memorie aveva passato in rassegna tutte le donne che s’era ritrovato davanti, e in nessuna di loro era riuscito a scorgere parvenza di lei.
Più di trent’anni.
La donna cambia, notevolmente, e stravolge la sua immagine. Il tempo calpesta senza pietà la bellezza, violenta le forme e contorce la freschezza dei frutti della natura.
Il tempo è giudice e peccatore.
Un cattivo scultore che lavora alacremente e senza sosta, corrompendo le sue opere.
Quanti parti, quanti figli, quanto dolore?
Quale il risultato di una vita banale, che con sdegnata superbia pensava fosse stata?
Ad Antonio non chiese mai, eppure la frenesia dei suoi occhi che incontravano altri occhi non poteva sfuggire di certo all’attenzione dell’amico ritrovato. Distrattamente un conoscente qualunque avrebbe potuto non comprendere la natura di quella tensione, ma Antonio aveva condiviso tanto con lo scrittore, seppur anni prima. E per quanto, quell’uomo schivo e sfuggente avesse posto tra sé e il mondo una patina forte e resistente di solitudine, non poteva certo cancellare quello che era stato.
S’era rinchiuso nella sua intima, piccola, squallida fortezza esistenziale, ma s’era andato a rinchiudere tardi, dopo essersi svelato seppur per pochi istanti ad un mondo ben preciso.
E Antonio di quel mondo ne aveva fatto parte.
Per il mestiere che portava avanti da anni, il barista sapeva leggere bene negli occhi della gente. Accoglieva i forestieri sempre con tatto e gentilezza, individuando in pochi istanti le voglie e i gusti di tutti. Era innata in quell’uomo, placidamente invecchiato lungo le strade del suo inseparabile villaggio, la capacità di vedere aldilà dei volti.
Antonio lo conosceva bene, oltre ogni possibile menzogna, oltre l’abilità dello scrittore di giocare con le parole per nascondersi e sfuggire al prossimo.
Il vecchio amico aveva atteso lungo quel cammino sul filo dei ricordi.
Pensava che, in qualche modo, Giacomo avrebbe detto almeno una parola, accennato a qualcosa a riguardo, ma nulla era trapelato dalle labbra strette, avvinghiate alla sigaretta sempre accesa dell’amico. Poi, Antonio, convinto di viaggiare nella giusta direzione, aveva provato a scoprire leggermente la mano, domandandogli come mai fosse ritornato, ma non aveva avuto risposta, almeno per quello che poteva attendersi.
Antonio sapeva bene che Giacomo non era ritornato a casa, ché una casa in quelle traversine non aveva già da tempo. I suoi genitori s’erano trasferiti anni prima a Palermo seguendo la sorella. La sua famiglia non stava più sulla collina. E sapeva bene il barista che Giacomo non era stato particolarmente malinconico per quello che poteva ricordare, era fuggito, sì, repentinamente come un delinquente, ma chi lo conosceva avrebbe notato che quell’uomo nascosto dal cappello di paglia era un disperato in fuga da sé stesso.
«Non sta più qui, da anni.»
«Di chi parli? »
«Vuoi dirmi che ti ho sopravvalutato così tanti in tutto questo tempo? »
«Antò, non capisco.»
«Lei, quella che cerchi in ogni sguardo, non abita più qui.»
Giacomo resta in silenzio, il volto si contrae leggermente in una smorfia di fastidio che non riesce a controllare. Tira fuori dal taschino il pacco di sigarette ormai quasi vuoto, ne estrae una, prende l’accendino e soltanto allora si rende conto d’averne ancora una fumante tra le labbra.
E sorride, di sé, e di quello che è diventato.
Poi si volge verso Antonio.
«Non voglio sapere che ne è stato di lei, non per come ti chiedevo di Johnny, forse in cuor mio come uno sbarbatello piscialetto avrei voluto incontrarla, soltanto alcuni istanti, senza parlarle né altro. Ma evidentemente il destino ha scelto per noi in maniera differente.»
«Sta a Roma, da almeno dieci anni, raramente ritorna giù.»