Alla ricerca della ragione di una Identità da ritrovare

Mi affascinava da ragazzino la lettura, nell′Antico Testamento, delle lunghe descrizioni delle discendenze. L′idea che allora mi facevo era che se Adamo era stato animato dallo pneuma, alito, di Dio - e dunque ne fosse Parola - il disarticolarsi della sua discendenza ne fosse il disarticolarsi in un discorso fatto di mille parole! Pertanto ho sempre guardato ai popoli, alle razze, alle genti, agli individui con la stessa "affascinazione" che avevano su di me le parole anche minori o più sfumate di mio "Padre". Al di là della maggiore suggestione e del maggiore fascino che, sulla via del Senso, i Popoli o le Parole, tanto più lontani e originari, hanno, l′oggetto della ricerca, il Senso, sta alla Sorgente o alla Foce di un processo, alla Periferia o al Centro di un evento, nell′Uno chiuso passato o nell′Infinito aperto futuro? Se la questione è "la Vita", la risposta non può certo stare in uno solo dei due punti di una coppia polare ma nel divenire ciclico delle relazioni tra essi, come è nella natura del "pulsare", o "respiro", dell′universo: dunque non nella singola Parola ma nel Discorso! Il "Qui ed Ora" (come quello oggetto dell′indagine di Franco), in cui esso accade, non sono più allora "la periferia" - vuoi dell′uno, vuoi dell′altro dei due poli -, ma il loro luogo di incontro, "la frontiera", in cui la vita diviene, dalla relazione, tra vecchi e nuovi popoli-parole, in rinnovate forme del discorso della vita. Ha detto il Vice-Presidente della Fondazione Mandralisca, Manlio Peri: "Trovo che già il suo titolo, "Periferia e frontiera nella Sicilia antica", sia affascinante ed evocativo, evocativo di epoche remote, al confine tra storia e mito, in cui la Sicilia era sì periferia, come quasi sempre lo è stata nella sua storia, ma era già anche frontiera, luogo di incontro e di scambio tra genti portatrici di civiltà diverse che si sarebbero integrate e fuse per fare la civiltà del mediterraneo. E non la Sicilia in genere è l′oggetto del libro, ma una parte di essa che è molto vicina a noi, giacchè Antonio Franco si occupa dell′area centro-settentrionale della Sicilia, cioè in buona sostanza del territorio delle Madonie e dei Nebrodi. A mio avviso, proprio il contrasto tra questa vicinanza geografica e la distanza temporale, che ci riporta ad un periodo compreso tra la Protostoria e il V-IV secolo a.c., è l′elemento che affascina ed incuriosisce il lettore per così dire ‘Indigeno′. E il libro non delude la sua curiosità, narrandogli delle origini delle popolazioni preelleniche dell′area, dei primi contatti con i Greci, venuti sì a colonizzare, ma anche a portare in Sicilia la propria straordinaria civiltà; e ancora di antichissimi culti religiosi che hanno lasciato le proprie tracce, materiali e non, in luoghi come Grangi, Petralia e nella stessa Cefalù. Insomma, un libro appassionante oltre che erudito, di cui ringraziamo Antonio Franco, augurandogli, ed augurandoci, che siano in molti a leggerlo, soprattutto molti giovani, cui andrebbe spiegato che non è meno emozionante di tanta letteratura ‘fantasy′ ". Se parliamo di una unità antropologico-culturale: di una etnìa, individuarne la "frontiera" sta per individuarne la soglia geografica e temporale attraverso cui si è incontrata con altre. Indagare su quale fu il presente, ed i luoghi in cui esso si realizzava, della etnìa dei Siculi, prima del IV° secolo a.c., (che del suo processo identitario ha segnato il punto "di non ritorno") è ciò che ha fatto il prof. Franco. Varie le metodologie seguite da Franco, naturalmente in linea con la scienza storiografica più avanzata, ma a me, profano, alcune sono apparse più "gustose". Naturalmente le prime indicazioni scritte sono di autori greci. Ma - come ha sottolineato uno dei relatori -, nel ricostruire quella realtà lontana, Franco non cede - come la gran parte degli storici - alla facile lusinga di aderire alla prospettiva storica dei vincitori, fosse anche la grande civiltà dei Greci, ma (credo dell′Operazione sia una importante "chiave") "cerca lo sguardo", le ragioni dei più umili, degli autoctoni, dei perdenti, dei diversi. Essi, come sempre accade nell′affresco dell′universo che fa - a sua misura - ogni cultura dominante, risultando "alieni", "Altri" rispetto al Sè conosciuto; nel cono d′ombra perciò della coscienza, vi incarnano l′archetipo del "selvaggio", dell′irrazionale, perchè "esterni" alla propria Ragione. La "periferia" è sempre "popolata da mostri". E′ così, perciò, quasi sempre finiscono per diventare oggetto di colonizzazione, detta anche "civilizzazione"! L′ idea di una Presenza indigena "non ancora raggiunta dalla storia", così come ne viene fatto cenno nei "mezzi di informazione" greci, la si può ricavare dalla dislocazione e dalla natura dei miti e delle leggende che se ne riportavano. Non solo - già a partire dalla figura di Polifemo - è possibile ricavarne la versione immaginifica che si voleva di una "fauna" umana "selvatica", ma - se si consideri ora la allocazione delle leggende e miti -, è possibile ricavarne la rete anche dei capisaldi che chi si apprestava a "civilizzare" aveva già come mira. Collocare infatti una leggenda con figure della mitologia greca in quelle aree voleva significare che già, da quella loro epoca, quei luoghi erano, in qualche modo, abitate dall′anima greca. Ciò è sempre utile quando poi si vuole muovere il cuore delle masse ad offrire la propria vita in una guerra di conquista. Anche le parole - quelle che ordinariamente intendiamo tali (pronunciate o scritte) - hanno una storia genetica analoga a quella di ogni essere umano. Da "letterato", il prof. Franco muove la sua ricerca anche risalendo - attraverso la catena delle contaminazioni etimologiche - il corso genetico delle parole, ricavando dal loro senso - dal nome di una montagna, di una valle, di un particolare luogo - la funzione che essi avevano, e da ciò quindi un segno di chi quella funzione riconobbe e usava e che perciò quel luogo in tal modo nominò. Anche l′indagine sui sentieri e le trazzere, sul convergere e l′intensificarsi del loro disegno, ha fatto emergere un tessuto di relazioni che aveva nel "massiccio" delle Madonie e nella zona più occidentale dei Peloritani il suo fulcro. Ciò è stato utile anche per approfondirne, in corrispondenza dei suoi gangli, la ricerca di testimonianze "in pietra". L′amico Franco ha confidato ai numerosi presenti di come da sempre gli fosse stata cara una canzone - degli Agricantus - che dice della Sicilia interna come di "Montagne piene di pietre antiche". E, d′altra parte, la "Montagna" (petto della Madre-Terra), ritirata dalle zone malsane della costa e lontana dalle scorribande di visitatori non sempre ben intenzionati, ha da sempre offerto riparo, oltre che un accesso diretto al suo latte, fonte della vita: l′acqua. E′ così che degli insediamenti si intensifica l′individuazione risalendo il corsi d′acqua verso le sorgenti, in un paesaggio ricco di boschi non ancora modellato dalla coltura estensiva del grano. Nell′incontro tra il mondo greco e quello autoctono dei siculi, Cefalù, la sua rocca, per la sua importanza strategica (subito fatta "oggetto di mito" dai greci: quello di Dafni), svolse un ruolo di frontiera, capisaldo di Imera alla punta ad est della sua costa, ma anche sbocco a mare degli abitanti dei monti. Luogo dunque frequentato da avventurieri, soldati, commercianti, da figure "mobili" più che da stanziali. A questa sua esposizione ad essere attraversata da diverse energie deve il suo potenziale valore (ancora oggi inespresso) ma anche il lato in ombra dell′assenza di una precisa identità sociologica che ha caratterizzato a tutt′oggi la sua storia. Tant′è la difficoltà che Diodoro siculo trova nell′individuarla che - riferendosi ai suoi abitanti - non li identifica come - ad esempio - "i cefaludesi" ma come "coloro che abitano quel ... luogo". Ma è proprio della "frontiera" l′ indistinzione della metamorfosi, che lì ha il suo primo laboratorio. E lì infatti che i diversi si incontrano reciprocamente trasformandosi, a partire dalla periferia verso il rispettivo retrostante o interiore centro. Più ampio o forte un organismo più la sua ragione - è vero - finisce per includere quella del più piccolo o debole, ma questa ha perduto di sè ogni traccia ogni ragione originaria della sua propria natura di Parola? "La montagna è un ostacolo ma anche un rifugio per uomini liberi", è stato detto, e anche: "nel suo ritiro, a volte arroccamento, un tesoro, ancora conservato, di valori essenziali". Con la globalizzazione delle relazioni, gli organismi collettivi culturali, anche territoriali, si sono disgregati a favore di una miriade di piccole unità monocellulari. Un individualismo tuttavia senza spessore perchè senza memoria e senso delle radici; con un′idea di un Sè - cioè dell′Uomo -, privo di ogni più intima connessione all′universo intorno. L′ampiezza dell′orizzonte della frontiera si è frantumato in tanti piccoli monitor LCD. La dittatura è ormai quella della omologazione al piano "oggettivo" delle relazioni tra "superfici"; di quello cioè che una volta si chiamava "il mondo delle apparenze". Recuperare la memoria significa recuperare i materiali che danno "spessore" alla propria identità, rendendola più ampia; significa recuperare i fili con un oltre il "qui ed ora", la percezione di una appartenenza cioè a un qualcosa la cui "oggettività" si trova piuttosto all′interno, nell′intimo, dove - se si è ancora vivi - risiederà il Libero Arbitrio, il cui solo uso - saggio - rende l′Uomo Libero ! Un lavoro di dieci anni non può svolgersi se non spinto anche dall′energia del cuore, ma non solo lungo il filo di un sentimento - forse infantile -, della ricerca di una comune matrice di una rete familiare, sparsa - come ci dice essere la sua - quasi in tutte le madonie; quanto piuttosto quello di una passione, di un sentimento adulto di un uomo che avverte la libertà dell′Uomo oggi in pericolo! A mio avviso, è una ricerca storica che si offre, oltre che per i suoi pregi storiografici, anche come preziosa indicazione strategica, in una odierna prospettiva di evoluzione sociale, culturale e politica del nostro comprensorio. Vi è una citazione nel libro (di non ricordo chi) che dice: "Il nostro territorio è come una intercapedine in cui presente e passato si incontrano e si saldano", ma la parola che Franco vi aggiunge - quella meno probabile da trovarsi in un libro di storia antica - è: Futuro! Ancora una volta, il Mandralisca svolge al meglio il suo ruolo di struttura di supporto indispensabile ai fermenti culturali del nostro territorio.