Le mani di Cosa nostra sul vino siciliano, 19 in manette tra questi l'ingegnere Francesco Lena

I padrini di Cosa nostra ormai in carcere da anni avevano deciso di investire i propri tesori nella produzione di vino pregiato. Per il nuovo business si sarebbero affidati a uno dei professionisti siciliani più stimati del settore, l′ingegnere Francesco Lena, il patron dell′azienda "Abbazia Santa Anastasia" di Castelbuono, che ha al suo attivo vini ormai in cima alle classifiche delle guide enologiche. Francesco Lena è stato arrestato all′alba dagli agenti della sezione Criminalità organizzata della squadra mobile di Palermo: è accusato di associazione mafiosa, sulla base delle dichiarazioni di alcuni pentiti, ma anche delle intercettazioni, che hanno captato discorsi d′affari fra boss del vertice di Cosa nostra. Lena è fra i 19 arrestati del blitz disposto dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo per fare luce su alcuni investimenti milionari di Cosa nostra. L′imprenditore vitivinicolo di Castelbuono non è l′unico insospettabile della lista. In manette è finito pure l′imprenditore Vincenzo Rizzacasa, negli ultimi anni diventato il ras delle più importanti ristrutturazioni immobiliari realizzate nel centro di Palermo: è accusato di trasferimento fraudolento di valori, perché avrebbe gestito attraverso le sue società il patrimonio del boss Salvatore Sbeglia, anche lui arrestato questa mattina assieme ai fratelli Francesco Paolo e Giuseppe, nonché ai nipoti Francesco e Marcello. Nell′estate scorsa, la società di costruzione di Rizzacasa, Aedilia Venusta, era stata espulsa da Confindustria Palermo, perché ritenuta "non in linea con il nuovo codice etico dell′associazione": fra i dipendenti, come coordinatore dei cantieri, risultava il figlio di Salvatore Sbeglia, Francesco, condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa. Rizzacasa si era difeso a spada tratta, sostenendo di essere solo un benefattore, vicino a gruppi ecclesiali e del volontariato, sempre pronto a dare un′altra possibilità a chi ha sbagliato. Rizzacasa si vantava soprattutto di aver fatto decine di denunce contro il racket del pizzo. In realtà, secondo il pool coordinato da Roberto Scarpinato, il manager sarebbe stato un insospettabile prestanome del gotha mafioso. Tre giorni fa, di sicuro, aveva vinto il suo ricorso contro la decisione di Confindustria: un giudice del tribunale di Palermo l′aveva reintagrato fra le fila dell′associazione degli industriali. Il blitz della sezione "Criminalità organizzata", diretta dal vicequestore aggiunto Nino De Santis, ha portato in carcere anche l′imprenditore palermitano Filippo Chiazzese, ritenuto prestanome del boss detenuto Francesco Bonura. Chiazzese è il titolare della"Agricoltura e giardinaggio sas", una delle società che sta realizzando il maxi appalto da 11 milioni di euro per il più grande parco della città, il giardino d′Orleans. Chiazzese risulta fra i soci del consorzio "Generale appalti pubblici" di Firenze, di cui è stato anche presidente del consiglio di amministrazione. I boss potevano contare davvero su una rete di insospettabili per i propri investimenti. Le indagini dei pm Roberta Buzzolani, Nino Di Matteo, Lia Sava e Marcello Viola hanno portato il gip Maria Pino a firmare anche il sequestro di 10 aziende e di numerose quote sociali. Provvedimenti in carcere sono stati notificati ai boss Nino Rotolo, Francesco Bonura, Vincenzo Marcianò, Carmelo Cancemi e Massimo Troia. L′indagine sul tesoro di Cosa nostra è nata nel 2006, grazie alle intercettazioni effettuate in un box di lamiera che Nino Rotolo aveva sistemato nel giardino della sua villa: il boss riteneva di essere al sicuro dalle microspie, invece tutti i summit erano registrati. Fonte: [palermo.repubblica.it]