Settimana dei diritti, Genova dà voce agli operai dimenticati

Per far ascoltare la propria voce hanno dovuto passare dieci giorni sul tetto di un capannone Fiat. Oppure si sono visti costretti a presidiare i propri impianti sette giorni su sette, notte e giorno: l′unico modo per evitare che i macchinari fossero smontati a Faenza e rimontati in Serbia. Oppure hanno dovuto occupare - e siamo già ad oltre centoventi giorni - l′isola carcere dell′Asinara. Sono le voci di chi non ha voce. Tra i tanti diritti che - almeno sulla carta - non si negano a nessuno c′è (c′era?) quello di protestare, di far sentire le ragioni della propria protesta, di trovare qualcuno che "almeno ci stia a sentire". Gran bella intuizione quella di Nando dalla Chiesa e della settimana internazionale dei diritti (Genova, dal 15 al 22 luglio): dar spazio a chi, per poter avere uno straccio di reazione, ha dovuto compiere gesti estremi, salire sul tetto per giorni e notti oppure legarsi con una catena all′impianto di produzione, occupare un luogo simbolo, oppure inventare qualche gesto abbastanza clamoroso da richiamare l′attenzione dei media. Spiega dalla Chiesa, responsabile del progetto Genova Città dei Diritti: «La settimana dei Diritti diventa evento internazionale, perché dal mondo sale una sempre più pressante e disordinata domanda di diritti da affermare o da difendere. Si decreta l′anno del fanciullo, della donna o della povertà zero. Ma la vita del pianeta gira insensibile agli annunci ufficiali, sono sempre i movimenti di opinione a creare le condizioni in cui fioriscono i diritti e le libertà. Genova si pone sulla frontiera internazionale della moderna civiltà, chiamando protagonisti, testimoni, studiosi, osservatori, artisti. Per sapere, per capire, per offrire il suo pezzo di futuro al mondo».
E anche per farli dialogare tra loro: forse uno dei momenti più interessanti del dibattito tra "i senza voce" (venerdì 16 luglio, dalle 18 in poi, a Palazzo Tursi) sarà proprio il confronto tra le diverse esperienze.
«Si tratta di aziende del Nord, della Sardegna e del Sud - spiegano gli organizzatori - Ognuna ha la sua storia: ne abbiamo letto sui giornali e abbiamo visto le immagini in Tv. Ma si fa sempre fatica, al di là della conta dei numeri, ad inquadrare un volto, un′esperienza, un′emozione. Ci sarà Marina Francesconi, una lavoratrice della Omsa Goldenlady di Faenza, trecentoventi dipendenti, per la maggioranza donne. La società rischia di essere trasferita in Serbia. Le lavoratrici hanno presidiato gli impianti. Ci sarà Erminia Lucchelli dell′Italtel di Settimo Milanese con la sua storia di azienda in crisi ed i lavoratori in cassa integrazione e gli scioperi. Ma anche Pietro Marongiu, un lavoratore cassintegrato della Vinyls di Porto Torres, che, con altri colleghi, occupa l′isola carcere dell′Asinara, da più di centoventi giorni. Poi Antonino Tarantino della Delivery & Mail, indotto Fiat di Termini Imerse: diciotto di loro avevano occupato a gennaio, per dieci giorni, il tetto di un capannone Fiat, dopo aver ricevuto la lettera di licenziamento. Infine Laura Chioetto, una giovane precaria, unica genovese tra gli ospiti, per dar voce al vuoto di lavoro e di futuro. A ognuno di loro la possibilità di raccontare la propria versione dei fatti, di incontrarsi e di incontrare chi ritiene che alle crisi industriali e alla globalizzazione si possa ancora dare una risposta che non sia quella del licenziamento, della delocalizzazione e dell′erosione dei diritti acquisiti. Sarà un′occasione per riflettere su un′idea di lavoro che si fa sempre più precaria nei fatti e nelle prospettive e sulla distanza, che esiste tra il primo articolo della Costituzione e la realtà che lo capovolge». A condurre l′incontro la giornalista Giuseppina Paterniti.
«La nostra vicenda ha degli aspetti allucinanti - racconta Antonino Tarantino della Delivery e Mail, un′azienda dell′indotto Fiat di Termini Imerese - Da tempo sapevamo già la data di fine corsa, cioè 31 dicembre del 2012, quando l′impianto chiuderà. Poi un brutto giorno, all′inizio di gennaio di quest′anno, scopriamo che invece la fine è brutalmente più vicina: il giorno dopo. L′azienda ci ha già spedito le lettere di licenziamento, che infatti arriveranno la mattina dopo. Che fare? Come ottenere qualcosa? In fondo eravamo "solo" diciotto. Siamo saliti sul tetto». E′ stato un gennaio terribile, anche dal punto di vista climatico, in Sicilia: i diciotto lavoratori della Delivery & Mail scoprono di non aver diritto nemmeno alla cassa integrazione perché l′azienda - per risparmiare lo 0,30 per cento di contributo - è registrata come "pulizia ordinaria" e non come "pulizia industriale": un cavillo che toglie loro qualsiasi speranza. La mobilitazione è forte, le reazioni anche politiche arrivano, il prefetto media e arriva - dopo giorni e notti di occupazione del tetto della fabbrica - la promessa di cassa. «Personalmente prendevo, con gli assegni familiari 1350 euro al mese e adesso 740, che diventano meno di 900 con gli assegni familiari - spiega Antonino - Un mese arrivano, l′altro no, allora devi andare a Palermo a protestare, sembra di andare a chiedere l′elemosina. Vengo volentieri a Genova, nella città dei diritti, a raccontare la mia esperienza. Perché gli altri non debbano ripeterla». Fonte: [genova.repubblica.it]